(Seconda parte)
Il secondo giorno di navigazione, da Belluno a Falzè di Piave, ci fu un’altra avventura. Pochi minuti dopo che i viaggiatori erano partiti il cielo s’oscurò, i tuoni rimbombarono tra il Monte Alto e il Nevegal, l’azzurro si ridusse a una striscia sottilissima che infine scomparve per far posto a nuvoloni gonfi di pioggia: tornò il buio, in un paesaggio rischiarato soltanto dalla luce dei lampi che facevano sembrar piombo fuso le acque del Piave, e davano a tutto ciò che illuminavano un aspetto spettrale. Angelino piagnucolava: “Voglio scendere! Per favore, Mattio, di’ al capo-zata che si fermi!”. Ma bastava guardare gli zatterieri per capire che il loro massimo sforzo, in quel momento, era rivolto ad andare ancora più in fretta, mantenendo la zattera nel centro della corrente e impegnandosi tutti insieme sui remi per aggirare le secche, molto numerose in quel tratto di fiume. Soltanto quando incominciarono a venir giù certi goccioloni così grossi che battendo sulla superficie dell’acqua sembravano sassi, o chicchi di grandine, l’equipaggio si preoccupò delle persone che erano a bordo, senza però eccedere in premure e senza distogliere troppa gente dalla manovra: un uomo solo, il caporal a man de fant – che nella gerarchia della navigazione sul Piave era il comandante in seconda – abbandonò il suo posto sulla zattera di poppa per portare una tela cerata ai passeggeri, e poi anche li aiutò ad aprirla e ad allargarla, mentre la pioggia tempestava sulle loro teste e sui loro vestiti; ad assicurarla alle taje, cioè ai tronchi di larice di cui era fatta l’imbarcazione, con certi ganci di ferro che erano attaccati ai bordi del telo. Dopo molti sforzi, e quando tutti ormai erano già bagnati, la copertura fu sistemata direttamente sulle teste dei viaggiatori che si ritrovavano al buio, senza più la possibilità di vedere ciò che stava succedendo all’esterno: in balía del fiume e della tempesta. La zattera, intanto, correva veloce sul filo della corrente, spinta anche da un vento gelato, così forte che l’acqua del Piave si sollevava alle sue raffiche, e i fulmini cadevano tanto vicini che se ne sentiva, oltre al fracasso, anche l’odore: se la parola odore è sufficiente a definire quell’atmosfera elettrica e sulfurea, inconfondibile per chi l’abbia respirata anche solo una volta, che si avverte in prossimità di un fulmine. Era il primo vero temporale di quell’anno e durò più di un’ora: grandinò, piovve, ritornò a grandinare e poi ancora a piovere, mentre i passeggeri, spaventati e intirizziti, se ne stavano sotto il telone a battere i denti e a mormorare preghiere (...). Passata Feltre, il vento cambiò: in un batter d’occhi, il temporale dileguò verso sud-est, verso Vicenza e Verona. Le nuvole si sfilacciarono, si sfrangiarono; il cielo veneto, così bello e luminoso nella realtà come nella pittura di tre secoli, dal Giambellino al Guardi, tornò a risplendere del suo azzurro; il grande fiume, che un’ora prima era sembrato così cupo, scintillò al sole in una miriade di luci e di riflessi mentre dalla parte di Belluno, tra le montagne, s’alzava l’arcobaleno. Il Piave, all’epoca della nostra storia, era il fiume, quello sotterraneo delle condotte forzate “Piave Boite Maè Vajont” che alimentano le centrali elettriche in pianura: soltanto la somma di questi due fiumi, nel presente, potrebbe ridarci il Piave d’un tempo, che ogni anno trascinava a valle il legname delle foreste del Cadore e che Mattio e Angelo vedevano dalla loro zattera, in quel giorno d’aprile del 1784. Spinto da un flusso sempre più lento e possente, il convoglio arrivò in pianura e vi sostò per la notte, altre due volte: a Falzè e a Ponte di Piave. Fortunatamente per i nostri viaggiatori, però, quei pernottamenti non ebbero storia: i passeggeri della “rapida” dormirono nelle baracche a loro destinate, da null’altro infastiditi che dal frastuono di quelli tra loro che russavano, e dal lavorio silenzioso di certe bestioline, che se ne stavano acquattate nella paglia e attendevano ogni notte i nuovi arrivati... A Ponte di Piave, Mattio uscì all’alba per una necessità e trovò nella baracca un altro passeggero della zattera che si stava alzando le brache in quel momento. Con questo gesto di legittimo orgoglio, il viaggiatore indicò a Mattio quella parte di sé da cui si era appena separato e che stava lì a terra. Sentenziò, battendosi il pugno sul petto: “Pissar ciaro e cagar duro, l’uomo forte è come un muro!”. In pianura, c’erano dappertutto certi campi coltivati con tante file di piantine alte una spanna, che i nostri montanari non avevano mai visto prima d’allora e che incuriosirono il piccolo Angelo. Mattio non sapeva dirgli di che coltivazioni si trattasse e uno sconosciuto che viaggiava insieme a loro si indignò per tanta ignoranza. “Come si fa, - chiese in tono di rimprovero – a non riconoscere il Dio che ci ha creati, e i genitori che ci hanno fatto crescere, e questi campi che ci mantengono in vita?”. Alzò il dito con molta gravità. “Queste che state vedendo, - disse rivolto al piccolo Angelo, - sono i campi della polenta, ricordatene sempre! Tutti gli uomini e le donne della Terra Ferma, tolti pochi signori, mangiano da qui!”.
I campi della polenta erano così numerosi, e così grandi, che sembrava non dovessero finire mai: invece finirono. Nelle prime ore del pomeriggio, a forza di remi, la “rapida” dal Cadore entrò in laguna tra nuvole di trampolieri, stormi di anatre selvatiche e sciami d’uccelli d’ogni genere, acquatici e terrestri, che s’alzavano in volo disturbati dalle grida degli zatterieri. Uno spettacolo indimenticabile, per il piccolo Angelo: ma le meraviglie, ormai, erano così numerose, che lui si guardava attorno con la bocca e gli occhi spalancati, e non chiedeva più niente al fratello. C’erano le postazioni di pesca, con le loro reti quadrate appese agli argani; c’erano le barche colorate a colori vivaci, i barconi da carico e le tartane con le vele triangolari, palpitanti nella brezza di mare; c’era perfino - nera e sinistra in mezzo alla palude – una nave da guerra in disarmo, una fusta piena di pazzi che saltavano sul ponte e gridavano a chiunque passasse di lì, di dargli da mangiare. (“Presto, presto! – imploravano i pazzi – Buttateci qualcosa! Per l’amor di Dio, se no crepiamo di fame!”).
- s’oscurò, pass. rem. del verbo oscurarsi: diventare scuro, buio.
- tuoni,nome masch., pl. di tuono: rumore intenso che accompagna i lampi durante i temporali.
- rischiarato, part. pass. del verbo rischiarare: illuminare.
- lampi, nome masch., pl. di lampo: luce improvvisa e abbagliante tra le nubi, come di scarica elettrica.
- piombo, nome masch. sing.: metallo pesante, di colore grigio-blu.
- spettrale, agg., simile ad uno spettro, fantasma.
- piagnucolava, ind. imperfetto del verbo piagnucolare: piangere a lungo ma in modo debole.
- zatterieri, nome masch., pl. di zatteriere: colui che guida la zattera.
- aggirare, verbo: girare intorno a qualcosa.
- secche, nome femm., pl. di secca: tratta del fiume poco profondo.
- grandine, nome femm., sing., pioggia che per il freddo diventa palline di ghiaccio.
- eccedere,verbo: esagerare.
- premure, nome femm., pl. di premura: attenzioni.
- gerarchia, nome femm., sing.: disposizione in scala di persone in base alla loro importanza.
- poppa, nome femm., sing.: parte posteriore della nave.
- cerata, agg., letteralmente ricoperta di cera: impermeabile.
- assicurarla, verbo assicurare: fissare bene qualcosa perché non si muova (in questo caso la tela).
- copertura, nome femm., sing.: struttura usata per coprire, riparare.
- in balia, nome femm., sing.: sotto il dominio di qualcosa o qualcuno.
- raffiche, nome femm., pl. di raffica: soffio improvviso e violento del vento.
- fulmini, nome masch. pl. di fulmine: luce intensa e rapidissima che compare durante un temporale.
- fracasso, nome masch. sing.: rumore molto forte.
- sulfurea, agg.: di zolfo.
- in prossimità dì...: vicino a, avvicinandosi a...
- intirizziti, agg.: infreddoliti.
- battere i denti, espressione figurata: avere molto freddo.
- mormorare, verbo: bisbigliare, dire a bassa voce.
- in un batter d’occhi, espressione figurata: in un baleno, velocemente.
- dileguò, pass. rem. del verbo dileguarsi: spostarsi rapidamente.
- si sfilacciarono, pass. rem. del verbo sfilacciarsi: letteralmente dividersi in fili, perdere compattezza.
- si sfrangiarono, pass. rem. del verbo sfrangiarsi: simile a sfilacciarsi.
- in una miriade di..., nome femm. sing.: in un gran numero di...
- sotterraneo, agg.: che sta sotto terra.
- condotte, nome femm., pl. di condotta: canale dove passano i tubi.
- ridarci, ind. presente del verbo ridare: restituire.
- possente, agg.: forte.
- sostò, pass. rem. del verbo sostare: fermarsi.
- baracche, nome femm., pl. di baracca: piccola casa di legno o lamiera.
- infastiditi, part. pass. del verbo infastidire: disturbare.
- frastuono, nome masch. sing.: rumore molto forte.
- russavano, ind. imperfetto del verbo russare: fare rumore con il naso di notte mentre si dorme.
- lavorio, nome masch. sing.: lavoro continuo e intenso.
- acquattate, agg.: ferme, nascoste.
- paglia, nome femm., sing.: insieme di steli di grano o altri cereali tagliato e lasciato seccare.
- brache, nome femm., pl., di braca: pantaloni.
- sentenziò, pass. rem. del verbo sentenziare: dire in modo ufficiale, declamare.
- pissar ciaro e cagar duro, proverbio: fare la pipì di colore chiaro e fare la cacca dura.
- spanna, nome femm. sing.: la distanza tra la punta del pollice e quella del mignolo allargati al massimo.
- montanari, nome masch., pl. di montanaro: detto di coloro che vengono dalla montagna.
- si indignò, pass. rem. del verbo indignarsi: arrabbiarsi.
- ignoranza, nome femm. sing.: il non conoscere qualcosa.
- gravità, nome femm., sing.: serietà.
- polenta, nome femm., sing.: cibo povero ottenuto dalla farina di granoturco cotta nell’acqua.
- trampolieri, nome masch., pl. da trampoliere: uccello di palude con gambe molto lunghe e collo allungato.
- stormi, nome masch., pl. da stormo: gruppo di uccelli in volo.
- sciami, nome masch., pl. di sciame: moltitudine, gran numero (di solito usato in relazione alle api).
- spalancati, agg.: molto aperti in segno di stupore.
- postazioni, nome femm., pl. di postazione: luogo dedicato ad attività specifica.
- reti, nome femm., pl. di rete: intreccio di fili annodati, strumento che serve per pescare.
- argani, nome masch., pl. di argano: macchina per sollevare e portare grandi pesi.
- vele, nome femm., pl. di vela: grande tela di varie forme che viene legata al palo dell’imbarcazione e che con il vento fa muovere la barca.
- palpitanti, agg.: che palpita, è vivo, vivace.
- brezza, nome femm., sing.: vento leggero e fresco.
- sinistra, agg.: minacciosa, inquietante.
- in disarmo, nome masch., sing.: non più utilizzata, in demolizione.
- pazzi, nome masch., pl. di pazzo: matto, malato di mente.
- imploravano, ind. imperfetto del verbo implorare: chiedere supplicando.
- buttateci, imperativo del verbo buttare: gettare.
- crepiamo, ind. presente del verbo crepare: morire.
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