lunedì 9 febbraio 2015

Silvio Testa, E le chiamano navi



Immensi scatoloni galleggianti passano per il Bacino di San Marco: sono bianchi, li chiamano navi, e in effetti lo dovrebbero essere, ma delle splendide navi di un tempo il Rex, il Conte di Savoia, l’Andrea Doria, la Cristoforo Colombo – hanno solo la funzione di portare passeggeri, tanti, il più possibile.
Queste navi non hanno né raffinatezza né buon gusto, sono ispirate ai casinò di Las Vegas, a bordo mantengono quel che promettono: una vacanza da villaggio turistico, scandita da spettacoli di stampo nazionalpopolare scimmiottati dalla tv e dai giochi degli animatori che riempiono le giornate degli ospiti in sandali e pantaloni corti, olezzanti di creme solari. Croceristi che sono parte di quei forse 30 e più milioni di visitatori all’anno che soffocano Venezia trasformandola sempre più velocemente nella cartolina kitch di se stessa, perché la Stazione Marittima, ormai, è una delle principali porte d’entrata di quel turismo “mordi e fuggi” che solo a parole le autorità dicono di voler contrastare.
La prima ragione della bruttezza di questi condomini galleggianti è l’essere fuori scala. Non hanno linea, sono alti oltre 60 m quando a Venezia l’altezza media delle case non supera i 15, e ciò altera ogni prospettiva e costituisce una vera forma di violenza. Turisti in numero infinito e navi smisurate riducono la città a contenitore buono per tutti gli usi, costi quel che costi.
I passeggeri, accalcati sui ponti più elevati per assistere allo spettacolo del passaggio in Bacino di San Marco, finiscono per guardare letteralmente dall’alto in basso la città, perdendo la cognizione che essa sia vera, fragile e bisognosa di rispetto, esattamente come succede ai visitatori dell’Italia in miniatura, quel parco tematico che piace così tanto agli ospiti di Rimini.
Moltissimi veneziani non le vogliono più e si mobilitano, in Facebook c’è anche un gruppo Fuori le maxinavi dal Bacino di San Marco, ma il bando delle grandi navi non può essere decretato solo perché sono brutte o diseducative. Esse, invece, sono dannose e pericolose per la città e per gli uomini, nonostante l’Autorità portuale si affanni a dire il contrario, forte di studi di parte che solo in pochi casi hanno avuto il contraddittorio di indagini indipendenti. Eppure, anche ad accontentarsi degli studi di parte ma a leggerli con attenzione, si capisce che le cose non sono così piane e tranquillizzanti come si vorrebbe far credere, e che il senso comune di quei tanti veneziani che chiedono l’allontanamento delle maxi navi ha ragioni ben fondate. Limitarsi a pretendere che le navi da crociera non passino più in Bacino di San Marco, accontentandosi di mandarle magari a Fusina, in gronda di Laguna, attraverso la bocca di porto di Malamocco, è però una proposta miope: equivale a nascondere la polvere sotto il tappeto, a tenere pulito il salotto buono lasciando al degrado il resto della casa. La Laguna non è altra cosa rispetto a Venezia,   l’una non può vivere senza l’altra e viceversa, e tenervi dentro le grandi navi significa perseverare in un disegno non più sostenibile, precludendosi per sempre la possibilità di ritornare indietro.
Chi vuole mettere mano in Laguna (letteralmente manomettere), ricorda sempre che essa è artificiale, ed è vero, ma per mille anni ogni intervento è valso a mantenerne l’equilibrio, mentre solo da poco meno di duecento anni la si sta scardinando per permettere al suo interno lo sviluppo di una “moderna” portualità. Nel 1901 la profondità media delle bocche di porto era di 7,5 m al Lido, di 9,5 m a Malamocco, di 4 m a Chioggia, mentre ora per permettere il passaggio di navi sempre più grandi le profondità hanno raggiunto i 12 m al Lido, i 17 m a Malamocco, i 9 a Chioggia.  Il mare non è più frenato nell’entrare in Laguna con le maree, ed anzi è velocemente portato fino al suo cuore dal canale Malamocco - Marghera (canale dei Petroli), largo più di 200 m, profondo dai 17 ai 12 m, rettilineo, lungo 14 km, scavato tra il 1961 e il 1969 a servizio del polo petrolchimico. Nel contempo, dal 1924 l’invaso della Laguna è stato ridotto con vastissimi interramenti per creare porto e aree industriali nella gronda e per costruire nel  1960 l’aeroporto di Tessera, col risultato che le maggiori quantità d’acqua che entrano violentemente trovano un bacino più piccolo di un tempo e tracimano. Provocano e aggravano, cioè, l’acqua alta.

scatoloni: grandi scatole
scandita: ritmata
nazionalpopolare: fenomeno della cultura che rappresenta la nazione
scimmiottati: imitare in modo goffo, semplice
turismo mordi e fuggi: tipologia che turista che resta in città poche ore
condomini: grandi edifici per abitare
accalcati: affolati
bando: mettere al bando, vietare
studi di parte: ricerche non obbiettive, che portano vantaggio al committente
gronda: area di contatto tra la laguna e la terraferma
bocca di porto: l'ingresso in laguna per chi arriva dal mare
precludendosi: (precludere) impedire, ostacolare
manomettere: guastare
scardinando: qui nel senso di rompere le regole
polo petrolchimico: area industriale sulla gronda dlla agna




giovedì 8 gennaio 2015

Fulvio Ervas, Se ti abbraccio non aver paura




Per certi viaggi non si parte mai quando si parte. Si parte prima. A volte molto prima. Quindici anni fa stavo tranquillo sul treno della vita, comodo, con i miei cari, le cose che conoscevo. All’improvviso Andrea mi scuote, mi rovescia le tasche, cambia le serrature delle porte. Tutto si confonde. Sono bastate poche parole: “Suo figlio probabilmente è autistico”.
La prima reazione è stata di incredulità: non è possibile, deve essere una diagnosi sbagliata. Poi ho cominciato a mettere insieme piccole cose, elementi che prima ritenevo insignificanti, e sbagliavo. Allora scoppia un uragano, due uragani, sette tifoni. Da quel momento sei nella bufera. Dopo la diagnosi, sono uscito, sono entrato in un bar e ho chiesto un bicchiere d’acqua, naturale.  Vuole dell’altro? La barista deve aver notato la mia immobilità.
“Lei sa qualcosa del ’autismo?”
“No”.
“Nemmeno io”.
Scrutavo il liquido, bevevo lentamente, come se l’acqua avesse potuto lavare i pensieri, trascinare ai reni il problema e dai reni fuori, via, lontano da me. Non funziona così. E come funziona?, avevo chiesto a Barnard. In paese tutti chiamavano ‘Barnard’ il medico di famiglia, e io con loro, per via delle sue fisime sul mal di cuore, sulle coronarie e altre faccende che non mi interessavano affatto. Quando stai bene, sta bene ogni singolo pezzo del corpo, cuore compreso.
“Funziona che la vita sta tutta sotto una grande curva a campana, con al centro disturbi comuni e ai lati stravaganze d’ogni sorta. La vita è diluita nel mezzo e troppo densa ai lati”.
“Non capisco”.
“La vita è imperfetta, ma ha una sua forza”.
Aveva ragione. La biologia ha una sua forza e fa crescere anche i figli affetti da autismo.


C’è chi dice che vivere con un figlio autistico significa sottostare a una specie di tirannia. Mi viene da ridere al pensiero di cosa accadrebbe al mondo se cadesse sotto il controllo di Andrea. Per prima cosa le settimane avrebbero un colore. Nella settimana del rosso via libera al commercio di carote, arance, pomodori. Sovvenzioni solo a questi produttori e blocco totale al a circolazione di camion con broccoli, verze e piselli. Ma quando arriva la settimana verde i negozi si riempiono delle verdure prima vietate, le casse d’arance vengono immediatamente rispedite in Sicilia e le carote infilate, una a una, nel terreno.
Naturalmente nel punto esatto da cui erano state tolte, che non si possono mica mettere carote provenienti dalla Francia su terra ferrarese.
Non ci sarebbe mai una settimana viola, peccato per i fan di prugne e melanzane.
Non potrebbe esistere il mezzo pieno o il mezzo vuoto, dilemma capace di tormentare i migliori intelletti: bottiglie e altri contenitori dovrebbero essere o vuoti o pieni e le penne o tutte con la punta dentro o tutte con la punta fuori, mai metà e metà, che poi una si rovina e una no. È un rischio che sarà evitato.
Sarebbe opportuno non indossare maglie o maglioni con la cerniera e, sbadatamente, tenerla leggermente aperta. Per favore, cerniere o aperte o chiuse. Inutile cavillare sempre se faccia caldo o freddo. Un po’ di decisione non guasta.
Nessuno si creda di poter mangiare una pizza tagliandola a fette, diciamo partendo da un punto qualsiasi e staccandone uno spicchio a piacimento: prima si mangia il bianco della mozzarella, poi il verde del basilico e alla fine, ma solo al a fine, la pasta con la salsa di pomodoro.
Ci sarebbe trecentossessantacinque volte all’anno la giornata del cioccolato.  Imposizione questa, forse, non del tutto sgradevole.

Chiunque sia in possesso di un termostato, o si consideri tale, non si aspetti benevolenza. O spenti o aperti al massimo: le mezze stagioni sono una rovina.
I campanili verranno dotati di un distributore automatico di bolle di sapone, ogni venerdì bolle di sapone a distesa per annunciare il fine settimana e ogni lunedì per festeggiarne l’inizio, fuochi d’artificio a Capodanno, nei solstizi ed equinozi e ogni qual volta le casse lo permettano.
Una tirannide con le idee chiare.
Un tiranno fragile, bisognoso di libertà. Per questo lo mandiamo a scuola da solo. Sono i suoi venti minuti d’aria, dieci all’andata e dieci al ritorno. Non avete paura?, ci chiedono.
Sì, ovviamente. Tutti i giorni. Però Andrea ha un tale sorriso, quando mette lo zaino in spalla e quando poi torna a casa, da compensare tutte le preoccupazioni. Perché essere liberi non è solo respirare e avere un cuore che batte, non basta.
Certo, la libertà non è mai gratis: abbiamo dovuto firmare assunzioni di responsabilità, un ragazzo autistico che va a scuola da solo è un bel problema, si capisce: per gli insegnanti, per i vigili, per la cittadinanza, per tutti gli automobilisti europei e i turisti lituani che passano di qua.
Era una sera di fine maggio, non riuscivo a dormire. Ricordavo un urlo di Andrea qualche giorno prima, dopo uno dei tanti inghippi: gironzolava per casa, ma terribilmente inquieto, gli ho chiesto cosa c’è, ho insistito, e lui stranamente mi ha afferrato per le spalle.
Mi ha fissato negli occhi come mai prima. Ha spalancato la bocca lasciando uscire un urlo che pareva aver attraversato un’infinita distesa di giorni. Mi è sembrato dicesse, mi pare di averlo sentito: non ci riesco, non ci riesco, non ci riesco…
E ha richiamato immagini del passato: un incidente, la moto che vola e poi l’urlo di Andrea a terra da qualche parte, davanti a me, la gente che accorre e mi impedisce di vederlo, la gamba destra tutta sghemba, la morfina, è un ragazzo autistico, le due ambulanze, lasciateci assieme, poi due letti d’ospedale, l’uno accanto al ’altro. Ce la siamo cavata, però quell'urlo di Andrea ogni tanto riemerge dai sogni, forse non era nemmeno dolore, forse era quel suo mondo strano che aveva trovato un’unica voce. Qualcosa gridava libertà e usciva raspando i polmoni e la gola.
Mi sono alzato, ho acceso il televisore, l’ho spento. Ho cincischiato con la radio. Ho aperto l’armadietto dove tengo le cartine stradali, le guide di viaggio. Ho steso sul tappeto una vecchia mappa del mondo, ho svuotato la mente ridisegnando i confini, Croazia, Slovacchia, Macedonia, Moldavia…
La mattina dopo, molto presto, Andrea era già sveglio e si aggirava in pigiama. Seguiva il perimetro del a tavola, sfiorava il divano, controllava la finestra del salotto. Ho cercato le ciabatte, senza trovarle. Ho capito che erano state al ineate perfettamente sotto la sedia del o studio. A piedi nudi ho calpestato una briciola di carta, poi un’altra, finché sul tavolo ho visto la pila di minutissimi pezzi, quel che restava della mia vecchia mappa. Frammenti infinitesimali di mondo che sarebbero finiti tra la carta da riciclare.


Andre, Andre, ho mormorato. Nessuno scatto d’ira. Niente.
Lui aveva quel o sguardo un po’ malinconico. Dai, il mondo cambia in fretta, e poi dovevo immaginarlo: spesso i giornali e le riviste vengono sminuzzati, Andrea lavora con una precisione invidiabile, come se lasciasse frammenti di parole a invisibili pettirossi che volano nel e nostre stanze.
Fra un mese finisce la scuola, cominciano le vacanze. I miei amici manderanno i figli ai centri estivi, troveranno l’offerta di una bella settimana verde sulle montagne casentinesi, li affideranno ai nonni, li porteranno con loro in campeggio, li lasceranno in un pezzo di giardino a dare calci a un pallone. Fanno bene, i ragazzi hanno bisogno di svuotare la testa e di giocare.
A me toccheranno le solite complicazioni: chi sta con Andrea, dove?, cosa gli facciamo fare?, quel a cosa sarà adatta a lui? Turni macchinosi, riempitivi, acrobazie per arrivare a settembre.
Ci si stanca, è umano.
Ogni volta che ti scontri con le difficoltà, ogni volta che ti rimbocchi le maniche per risolverle, è come comperare un biglietto, un piccolo biglietto che ti porti al a fermata successiva. No, quest’anno no. Se deve essere fatica, che sia per un’autentica avventura.
Siamo sempre in viaggio, anche quando aspettiamo che Andrea torni da scuola, quando lo rincorriamo tra la gente.
È arrivato il momento di prendere il largo. Adesso dobbiamo perderci.


L’idea di un grande viaggio ha cominciato a lavorare dentro, in silenzio. Come un virus.
Senza manifestazioni evidenti. Non sentivo il bisogno di un progetto dettagliato. Per Andrea le ore di ogni singolo giorno sono sempre un imprevisto: sarà così anche per me, e andrà come deve andare.
Una mattina sono andato incontro ad Andrea che tornava da scuola, con il suo passo veloce. L’ho visto arrivare e gli ho chiesto se gli sarebbe piaciuto fare una vacanza speciale. Lui s’è lasciato distrarre dai panni stesi nel cortile di una casa. È partito di corsa e ha cominciato a raggrumare le lenzuola, spostare le mollette, raddrizzare i calzini.
“Ce ne andiamo lontano?” chiedevo.
Mi ha guardato di sfuggita, e ha sorriso.


“Andrea, andiamo in America?”
“America bella”.
Lì, davanti a quei panni, riordinati come solo Andrea sa fare, mi sono detto: io e Andrea attraverseremo tutte le Americhe possibili e immaginabili, due o tre, quel e che incontreremo. Ce ne andremo a zonzo tutta l’estate, come esploratori.
Stazioni di servizio, rotoli di asfalto, pasti veloci, gente simpatica, gente che scappa, gente ai lati del a strada che ci saluta. Via, uno o due mesi, non ci fermeremo finché non saremo stanchi, di qualcosa ci stancheremo, oppure ci troviamo benissimo, magari è un gran posto per uno come Andrea con padre al seguito, sempre che non ci dicano: altolà, che siete venuti a fare? A portare scompiglio?, e che scompiglio portiamo, solo i pezzi di carta che Andrea lascia ovunque e le pance che gli piace toccare e i baci che distribuisce generosamente: va bene, staremo attenti, misurati, non daremo fastidio, America, cerca di essere tollerante!
“Sopporti Andrea con autismo” così mi ha scritto. Volevo capire come avesse preso quest’idea del viaggio e ci siamo messi, assieme al a mamma, davanti al computer. Da solo con me non scrive, è abituato al a presenza del a mamma.



  • autistico: disturbo neuro-psichiatrico che interessa la funzione cerebrale
  • reni: organi dell'apparato urinario
  • fisime: idee prive di fondamento, fissazioni
  • coronarie: le arterie che portano al cuore
  • tirannia: dittatura
  • sovvenzioni: aiuti economici
  • fan: sostenitori, amanti
  • sbadatamente: senza fare attenzione
  • cavillare: cercare pretesti per tirare in lungo una cosa
  • termostato: strunento che mantiene a temperatura costante un ambiente
  • solstizi: il 21 giugno e il 21 dicembre sono i solstizi d'estate e d'inverno
  • equinozi: il 21 marzo e il 21 settembre
  • assunzioni: dichiarazioni
  • inghippi: imbrogli, trucchi
  • sghemba: storta, non diritta
  • cincischiato: perdere tempo in lavori senza concludere nulla
  • scatto d'ira: attacco di rabbia
  • pettirossi: uccellino dal petto color rosso, arancione
  • raggrumare: mettere insieme in un mucchio
  • andremo a zonzo: andremo in giro