giovedì 28 gennaio 2010

Wu Ming, Altai



Prologo
Costantinopoli, 23 giugno 1569
(8 Muharram 977)

Dalle stanze del palazzo non arrivano rumori. L’alito del Bosforo e il canto del muezzin accompagnano i viventi dentro la sera, verso una parvenza di quiete. Oltre le finestre aperte,
il cielo è un incendio di porpora e oro. Barche di pescatori si staccano dall’Asia e fluttuano sulla corrente di miele. Un pensiero cattura Gracia: i più grandi artisti del mondo – e ne ha conosciuti molti, quand’era in Europa – possono soltanto imitare la bellezza che ci ha dato il Signore; mai
potranno eguagliare tanta meraviglia. Ha alzato la penna dalla carta, ora tiene la mano a mezz’aria. Ha gli occhi chiusi e ascolta il canto. Allo spegnersi dell’ultima nota, sigla e sigilla la lettera, infine si rilascia contro lo schienale.
Dana la guarda, osserva lo scrittoio. Le lettere già sigillate, e quelle che attendono risposta. Sa che la Senyora è spossata. Non potrà passare la serata a scrivere, come fino a poco tempo fa. Le forze la abbandonano, e c’è ancora così tanto da fare. Tutti la interpellano, da una parte all’altra del Mediterraneo e dell’Europa. Esuli in fuga, ebrei perseguitati, mercanti sefarditi, rabbini ashkenazim.
– Aiutami, – dice Gracia. – Voglio alzarmi.
Dana la ammonisce: – Non dovreste stare in piedi, mia Senyora. Non dovreste nemmeno stare allo scrittoio. Dovreste riposare.
Dana lo sa, è la sua parte in commedia e la recita ogni sera. Donna Gracia ripeterà il comando, la cameriera obbedirà, la Senyora le metterà un braccio intorno alle spalle e farà qualche passo nella stanza, accogliendo con serenità lo scricchiolio delle giunture.
Lo specchio alla parete è coperto da un drappo verde. Da tempo Gracia ha abbandonato sfarzo e ostentazioni, ha rinunciato a rimirarsi, ma stasera scosta il drappo e guarda la propria immagine. Negli ultimi anni ha trascurato se stessa. Del suo corpo si prende cura Dana ogni mattina, con la massima attenzione.
Ha cinquantanove anni e sulla lastra vede il viso di una vecchia. Rughe ai lati degli occhi e della bocca, la pelle del collo rilassata e cadente, il naso affilato, i capelli d’argento opaco. Scruta le pieghe del viso, cerca la bambina che una notte ricevette un nome segreto, e il giorno dopo un battesimo cristiano per proteggerla dall’Inquisizione. Beatriz deLuna Miquez.
Nei propri occhi, Gracia cerca le luci e ombre dei vicoli di Lisbona, la casa dell’infanzia e della prima giovinezza, il piccolo Yossef che la chiamava «zia». Ricordi, la voce di sua madre, il racconto di come i Miquez fuggirono dalla Spagna. Sotto gli strati del tempo, nella curva delle sopracciglia,
c’è ancora la fanciulla che andò in sposa a Francisco Mendez, el Gran Judío, e troppo presto dovette seppellirlo, ritrovandosi con una figlia piccola e le immense finanze di famiglia da portare in salvo.
Questo è stata per gran parte della vita: una ricca vedova ebrea, in affari e in lotta con principi, re e imperatori, prima nei Paesi Bassi, poi a Venezia, infine a Costantinopoli. Nel volto della Senyora, Dana contempla quello di un’anziana regina, i cui sudditi devoti sono sparsi nel mondo, da un capo all’altro. Negli ultimi quindici anni si è impegnata a radunarli e farli stillare, una goccia dopo l’altra, entro i confini dell’impero ottomano. Come il pastore strappa dalla bocca del leone due zampe o il lobo d’un orecchio, così scamperanno gli israeliti. È il primo passo del progetto più ambizioso, che tra mille difficoltà prende forma laggiù, a Tiberiade, dove la Senyora vuole andare a morire.
Lo sguardo di Dana si sposta all’esterno, sul braccio di mare di fronte al palazzo. Si chiede se la lettera arriverà. Sa che è rivolta a un uomo lontano, la Senyora accenna a lui di tanto in tanto, con frasi dense di amore e compassione. Frasi da un passato di intimità.
Gracia lascia ricadere il drappo. La stanchezza la chiama, la reclama per trascinarla a sé, più a fondo e più lontano. Dana l’accompagna a letto e l’aiuta a stendersi, le sistema i cuscini dietro la schiena, le slaccia la veste, poi rimangono sedute, a guardare le onde e i vascelli di là dalla finestra.
– È tempo che io vada laggiù, – mormora Gracia con gli occhi socchiusi.
– Portatemi con voi, mia Senyora, – supplica Dana. Lei le accarezza il viso, prende una mano tra le sue.
– No, piccola mia. Tu devi restare accanto a Reyna. Tu devi vivere.
Poi fa un cenno con il mento e indica lo scrittoio.
– Prendi la lettera. Affidala a chi sai.

parvenza: ombra, traccia di qualcosa.
fluttuano: ondeggiano.
sigla: mette la firma.
si rilascia: si appoggia.
scrittoio: tavolo per scrivere.
spossata: molto stanca.
interpellano: interrogano.
esuli: coloro che scappano dal proprio paese, profughi.
ammonisce: rimprovera.
scricchiolio: rumore provocato da qualcosa che si sta rompendo.
drappo: tessuto.
sfarzo: ostentazione di lusso, di eleganza.
stillare: fare uscire un liquido goccia a goccia.
sepperllirlo: metterlo nella tomba, sotto terra.
finanze: risorse economiche.
vedova: donna che rimane senza marito.
slaccia: scioglie i lacci.
vascelli: grandi navi a vela.
cenno: piccolo gesto.
affidala: lasciala con fiducia a qualcuno che se ne prenda cura.

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