giovedì 14 gennaio 2010

Gianni Celati


Gianni Celati, Idee d’un narratore sul lieto fine


Il figlio d’un farmacista studiava all’estero. Alla morte del padre è tornato a casa per occuparsi della farmacia, diventando farmacista in un piccolo paese nei dintorni di Viadana, provincia di Mantova.
La fama della sua sapienza s’era diffusa nelle campagne, attraverso voci che parlavano della sua immensa biblioteca, d’una sua prodigiosa cura contro il mal d’orecchi, d’un metodo nuovissimo per irrigare i campi, e delle dodici lingue parlate dal farmacista, il quale, tra l’altro, secondo le voci stava traducendo in tedesco la Divina Commedia. Il proprietario d’un caseificio nei paraggi ha deciso di stipendiare l’ormai maturo studioso perché si occupasse dell’educazione liceale di sua figlia; quest’ultima infatti, essendo un’ardente sportiva, andava male a scuola e inoltre detestava i libri, il latino e la buona prosa in lingua italiana. Più che altro per passione allo studio e non per necessità di denaro, il farmacista accettava, e per un’intera estate si recava ogni giorno a far lezione alla giovane atleta. E un giorno è accaduto che la giovane atleta s’è innamo­rata di lui, al punto da abbandonare ogni attività sportiva e mettersi a scrivere poesie, versi in latino e naturalmente lunghe lettere. Qualcuno parla ancora d’una macchina acquistata dal farmacista per l’occasione, di lunghe scorribande dei due per le campagne, e addirittura di convegni notturni in una stalla. Ad ogni modo, la prova dei rapporti amorosi tra i due, nell’ultimo scorcio dell’estate, veniva alla luce solo nell’inverno successivo, quando un pacco di lettere era requisito alla ragazza dalle suore del suo collegio, e debitamente trasmesso ai genitori. Il contenuto di quelle lettere appariva tanto rivoltante agli occhi del proprietario del caseificio, che costui decideva di rovinare il farmacista e di cacciarlo per sempre dal paese. I fratelli della ragazza, allora appartenenti alle squadre fasciste, devastavano più volte la farmacia sulla piazza del paese, e una volta bastonavano duramente il suo proprietario. Tuttavia questi fatti non sembra abbiano preoccupato molto il farmacista. Per un certo periodo egli continuava a ricevere i clienti nella farmacia devastata, tra vetri rotti, scaffali demoliti, vasi fracassati; poi un bel giorno ha chiuso bottega e s’è ritirato tra i suoi libri, senza più uscire di casa se non occasionalmente. Tutto il paese lo sapeva immerso nei suoi studi, e lo vedeva di tanto in tanto passare sulla piazza sorridente, diretto all’ufficio postale per ritirare nuovi libri che gli erano arrivati. In seguito è stato ricoverato all’ospedale e di qui trasferi­to in un sanatorio. Restava per lunghi anni nel sanatorio e nessuno sapeva più niente di lui. Al ritorno dal sanatorio il vecchio studioso era magrissi­mo. Un’anziana donna di servizio che era tornata a prendersi cura di lui, si lamentava con tutti perché lui non voleva mai mangiare: diceva che mangiare non gli piaceva e restava tutto il giorno tra i suoi libri. Sempre più magro l’uomo usciva di casa molto raramen­te e mostrava di non riconoscere più nessuno in paese, nemmeno la figlia del defunto proprietario del caseificio, incontrata qualche volta sulla piazza. Però sorrideva a tutti, e si dice che salutasse i cani che vedeva levandosi il cap­pello. Avendo evidentemente smesso del tutto di nutrirsi dopo la morte dell’anziana donna di servizio, e prolungato il digiuno per settimane, quando veniva ritrovato morto nella sua biblioteca (da un idraulico) era già identico a uno scheletro: di lui restava solo pelle incartapecorita attaccata alle ossa. Era chino sull’ultima pagina d’un libro, dove stava appli­cando una striscia di carta. Anni dopo la sua grande biblioteca veniva assegnata in eredità a una nipote, e questa frugando tra i libri ha creduto di capire come il vecchio studioso avesse trascorso l’ultima parte della sua vita. Per quest’uomo tutti i racconti, i romanzi, i poemi epici dovevano andare a finir bene. Evidentemente non tollerava le conclusioni tragiche, le conclusioni melanconiche o deprimenti d’una storia. Perciò nel corso degli anni s’era dedicato a riscrivere il finale d’un centinaio di libri in tutte le lingue; inserendo nei punti riscritti dei foglietti o strisce di carta, ne trasformava le conclusioni, portandole sempre ad un lieto fine. Molti dei suoi ultimi giorni di vita devono essere stati consacrati alla riscrittura dell’ottavo capitolo della terza parte di Madame Bovary, quello in cui Emma muore. Nella nuova versione Emma guarisce e si riconcilia col marito. L’ultimissimo suo lavoro è però quella striscia di carta che aveva tra le dita e che, già ormai morto di fame, stava applicando sull’ultima riga d’un romanzo russo in traduzione francese. Questo è forse anche il suo lavoro più perfetto; qui, cambiando solo tre parole, ha trasformato una tragedia in una buona soluzione di vita.

irrigare: bagnare la tera
caseificio: luogo di produzione del formaggio
stalla: ricovero per animali
debitamente: appositamente
rivoltante: disgustoso
fracassati: rotti
sanatorio: luogo di cura
incartapecorita: secca, raggrinzita

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