venerdì 11 dicembre 2009

Mario Rigoni Stern, Le stagioni di Giacomo


Mario Rigoni Stern, Le stagioni di Giacomo

Un libro poetico per l’intensità dei ricordi e delle descrizioni della vita semplice e ricca nell’animo, faticosa e dura nel corpo. Un libro di piccole storie quotidiane della comunità dell’Altopiano, dove il calore del fieno, le vigilie di Natale, le estati profumate fanno da contrasto con le macerie di una guerra appena terminata.


Sono passato e non c'era nessuno. Silenzio attorno e dentro le case. Lontano si sentiva abbaiare un cane e nel cielo gracchiare una coppia di corvi. La neve era arrivata bassa, fin sopra il Moor, ma anche se era freddo i camini non fumavano. Tutte le porte erano ben serrate, chiusi gli scuri alle finestre.
Ricordavo chi abitava qui porta per porta perché da ragazzo venivo quassú dal paese per giocare con il mio compagno di banco. Ricordavo dove erano le vacche, dove i cavalli, l'asino. E gli orti ben coltivati, e la fontana da cui sgorgava un'acqua freschissima: prima bianca, poi limpida dopo che l'aria incorporata svaniva dalla superficie del bicchiere.
Nella casa piú vecchia e piccola la porta era socchiusa. Forse era entrato qualcuno a vederla con l'intenzione di comperarla e ristrutturarla come casa per le vacanze; ma poi, sentito quanti erano i proprietari sparsi per la Fran­cia, Americhe e Australia, aveva abbandonato l'idea. O forse a entrare saranno stati quei giovani di passaggio che non si sa da dove vengono e dove vanno. Avranno forzato la porta per passarvi la notte, ripartendo la mattina dopo.
La porta non ha vetri ma tavole d'abete inchiavardate, non ha serratura con chiavi o catenacci ma una maniglia fermata da un paletto e dal filo di ferro a un chiodo infisso tra le pietre del muro. Sono entrato dopo aver bussato e chiesto permesso. Il silenzio e la penombra erano carichi di ricordi che sembravano chiedere la parola.
La piccola finestra che guardava a mattina non mostrava piú il paesaggio perché bardane e ortiche cresciute all'esterno impedivano la vista. Si vedeva solo un pezzo di cielo.
Sul focolare annerito restava un po' di cenere compatta e dura, simile a quella che rimane in fondo ai sepolcri. Il pavimento era cosparso di riviste con tanta pubblicità e donne nude ma, rimuovendole con un piede, sotto affioravano ramoscelli secchi e qualche foglia di faggio. C'erano ancora l'acquaio in pietra, i ganci dove appendere le secchie di rame per l'acqua, le scansie a vista dove venivano riposte stoviglie e posate. Mancavano la stufa da trincea che era stata recuperata da un ricovero austriaco, le quattro sedie, la panca e il tavolo. Il posto del tavolo mi ricordava che lí sotto, per la botola, si scendeva nel vano dove venivano riposte le patate, i cavoli agri, il lardo e i salumi dopo che si erano asciugati. Verso il soffitto di tavole e travi, basso per tenere il calore e nero per il fumo, saliva la scala di legno per le stanze sovrastanti. Erano piccole, scure, con finestre minuscole che dagli spessi muri guardavano a mattina, verso il bosco.
La Grande Guerra non aveva distrutto del tutto questa contrada; non l'aveva rasa al suolo come le altre vicine. Stranamente era rimasta in piedi anche se era stata sotto il tiro di tutte le artiglierie, anche se era stata abbandonata, ripresa e ancora abbandonata da Italiani e Austroungarici. Forse perché qui c'erano degli ospedaletti da campo, come dimostravano i tre cimiteri dove erano stati sepolti quattrocento soldati italiani? Queste vecchie case erano state solo saccheggiate e incendiate: i muri erano sempre quelli da secoli, come anche le grosse travi di larice che il fuoco aveva solo carbonizzato in superficie.

Adesso, da una trentina d'anni, le sette porte della contrada si aprono solamente quando i cittadini salgono dalla pianura per fare vacanza. I discendenti di coloro che le avevano costruite con le pietre scavate dalle montagne e con i tronchi scelti nei nostri boschi, che le avevano riparate nel 1920, che qui avevano iniziato o terminato la loro vita, o che da qui erano partiti per luoghi lontani di lavoro, o per guerre, non ci sono piú. Non si accendono focolari ma si fanno le grigliate all'aperto bruciando salsicce sui barbecue nei fine di settimana. Gli orti sono diventati parcheggi. Anche la fontana non c'è piú: impediva la manovra alle automobili. Tutto è cambiato. È molto lontano quello che era vivo dentro questa casa, rimasta vuota di tutto e piena di silenzio. Qui era nato e vissuto fino ai vent'anni il mio compagno di banco.



compagno di banco: il bambino che siede vicino quando si è a scuola
vacche: mucche
forzato: aperto con la forza
inchiavardate: inchiodate
catenacci: grosse catene
bardane: erbacce
sepolcri: tombe
acquaio: lavandino
secchie: secchi
scansie: ripiani
trincea: fossa scavata che protegge i soldati durante la battaglia
botola: apertura nel pavimento che permette di passare in un locale sotterraneo
contrada: città, sobborgo
saccheggiate: derubate
carbonizzato: bruciato
grigliate: quando si cuoce la carne sulla griglia all'aperto


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