Care e cari,
torno a scrivervi per il nostro appuntamento
mensile, spero davvero che tutti voi stiate bene e che stia splendendo il sole sulla vostra estate!
Noi stiamo bene, c’è il caldo tipico di luglio e siamo felici! Tanti studenti
stanno studiando a Venezia e a Trieste, siamo sempre molto contenti di vedere nuovi arrivi e vecchi
ritorni.
Spero che abbiate tempo durante le vacanze
estive per una nuova lettura che ci tengo a consigliarvi, I pesci non chiudono gli occhi di Erri De
Luca. È un romanzo del 2011, molto breve ma molto bello: racconta con
gli occhi di un adulto l’infanzia
trascorsa al mare, a Ischia, narrando avventure e
vicende sentimentali senza tralasciare descrizioni geografiche, parentesi
storiche e aneddoti, come quello sulla pesca con cui si apre il romanzo e il testo che ho
scelto per voi.
Vi auguro una buona lettura, un periodo
felice e di potervi
riposare al mare o al lago, in montagna o in collina, in città o in
campagna o in qualsiasi luogo vi troviate. Ci sentiamo tra un mese, un caloroso
abbraccio da Carola e da tutto il gruppo di Istituto Venezia!
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“Te lo dico una volta e già è troppo: sciacqua le mani a mare prima che
metti il morso all’esca. Il pesce sente
odore, scansa il boccone che viene da
terra. E fai tale e quale a come vedi fare, senza aspettare uno che te lo dice.
Sul mare non è come a scuola, non ci stanno professori. Ci sta il mare e ci
stai tu. E il mare non insegna, il mare fa, con la maniera sua.”
Scrivo in italiano le sue frasi e tutte insieme. Quando le diceva erano scogli staccati e molte onde in mezzo. Le scrivo in italiano,
senza la sua voce a dirle nel dialetto sono spente. Iniziava spesso con la “e”.
A scuola insegnano che non si comincia un periodo con una congiunzione. Per lui
la frase era la continuazione di un’altra detta un’ora, un giorno prima.
Parlava poco, a spazi larghi di silenzio mentre sbrigava le faccende di una barca a pesca. Per lui si trattava di un
solo discorso, che ogni tanto si staccava di bocca con la “e”, lettera che a
scriverla disegna un nodo. Ho imparato dalla
sua voce a iniziare frasi con la congiunzione.
Ci vedeva qualcosa di buono in me, bambino di città che d’estate veniva sopra
l’isola. Scendevo alla spiaggia dei pescatori, stavo i pomeriggi a guardare le mosse delle barche. Con il permesso di mamma potevo andare su una
di quelle, lunghe, coi remi grossi come alberi giovani. A bordo facevo quasi
niente, il pescatore si faceva aiutare in qualche mossa e mi aveva insegnato a
muovere i remi, grandi il doppio di me, stando in piedi e spingendo il mio peso
su di loro a braccia tese e in croce.
Pianissimo la barca si spostava e poi andava. Quel risultato mi faceva grande.
Al pescatore serviva in qualche momento la mia piccola forza ai remi. Non mi
faceva accostare agli ami, alle lunghe lenze col piombo di profondità.
Erano attrezzi di lavoro e stavano male in mano ai bambini. In terraferma, a
Napoli, invece stavano eccome i ferri e le ore di lavoro sui bambini.
Mi faceva gettare l’ancora. Avevo raggiunto i dieci anni, un groviglio d’infanzia ammutolita. Dieci anni era
traguardo solenne, per la prima volta si scriveva l’età con
doppia cifra. L’infanzia smette ufficialmente
quando si aggiunge il primo zero agli anni. Smette ma non succede niente, si
sta dentro lo stesso corpo di marmocchio
inceppato delle altre estati, rimescolato dentro e fermo fuori. Tenevo dieci anni.
Per dire l’età, il verbo tenere è più preciso. Stavo in un corpo imbozzolato e solo la testa cercava di forzarlo.
Finite le scuole elementari con un anno di anticipo, in quell’estate ero già
uscito dalla prima media. Era ammessa finalmente la penna a sfera, tolto il
grembiule nero, niente più calamaio, pennino e carta
assorbente, detta carta zuca in dialetto, carta succhia. […] Me ne stavo
rinchiuso nell’infanzia, per balia asciutta avevo la
stanzetta dove dormivo sotto i castelli di libri di mio padre. Salivano da
terra sul soffitto, erano torri, cavalli e fanti di una scacchiera
messa in verticale.
o esca, boccone: cibo per attirare i pesci
o
scansa: si sposta, evita
o
scogli: roccia che emerge dal mare
o
sbrigare le faccende: portare a termine
un lavoro, domestico e non
o
nodo: intreccio o incrocio di una corda o di un
altro oggett
o
mosse: movimenti
o
tese: dritte
o
accostare: mettere vicino, avvicinare
o
lenze: fili che servono per pescare
o
piombo: metallo pesante
o
groviglio: nodo complesso
o
ammutolita: zitta
o
solenne: importante
o
smette: finisce, termina
o
marmocchio inceppato: bambino insicuro
o
imbozzolato: dentro al bozzolo, non ancora maturo
fisicamente
o
calamaio: contenitore per inchiostro
o
balia: protezione, cura e custodia per bambini
o
torri, cavalli e fanti: pezzi del gioco
degli scacchi