mercoledì 3 dicembre 2014

Wim Wenders, Fino alla fine del mondo





Wim Wenders, Opening scene di Fino alla fine del mondoDopo una festa in un palazzo a Venezia, Clare attraversa il Canal Grande in taxi. Siamo nel 1981.

Francesco Maino, Cartongesso






Francesco Maino, Cartongesso, Einaudi, 2013


Fra me e mia moglie Isabel iniziò tutto nel migliore dei modi, poco meno di quattro anni fa. Io avevo trentasei anni, e da qualche tempo la mia vita era entrata in una sorta di stallo che pareva dover durare per sempre. Ero socio in una piccola agenzia di comunicazione che pur non brillando mi garantiva una certa stabilità economica e mi ero costruito negli anni un'indipendenza sentimentale che sembrava più che sufficiente. Voglio dire che non riponevo grandi aspettative nei confronti della vita e sentivo che era giusto così, perché nemmeno la vita sembrava riporre grandi aspettative su di me. In giro, poi, c'erano un sacco di opportunità. Gli amici, le ragazze. Era tutto a disposizione e io non mi tiravo indietro.


*    stallo: situazione ferma
*    brillando: avendo un grande successo
*    riponevo: avevo
*    un sacco: molte


L'incontro era stato organizzato da Valentina, la fidanzata di un amico, una laureanda in giurisprudenza con la passione per la biodanza. In quei mesi spesso mi parlava di questa ragazza svizzera che lavorava nell'erboristeria di una città vicina, Treviso, e che a sentire lei pareva tagliata su di me. E poi, continuava a ripetermi quasi fosse una minaccia, avevo trentasei anni, non sentivo il bisogno di sistemarmi ?


*    giurisprudenza: facoltà universitaria dove si studia il diritto e le leggi
*    pareva tagliata su di me: sembrava adatta a me, fatta per me
*    sistemarmi: sposarsi, formare una famiglia, avere un legame stabile


No. Non lo sentivo. Fu lei a prendere l'iniziativa, e senza consultarmi organizzò questa cena a due, per un venerdì sera di metà ottobre. Un autentico appuntamento al buio.  Quella sera faceva freddo e l'aria era bagnata da una pioggia sottilissima e densa, quasi un vapore gelido. La gente rientrava dal lavoro guidando con lentezza. Una colonna di macchine si snodava sulla circonvallazione attorno alle antiche mura della città, un serpente ininterrotto fatto di lamiera, sedili imbottiti, riscaldamenti accesi, autoradio sintonizzate su trasmissioni satiriche. La settimana sfumava nella zona franca del weekend. Il serpente scivolava sull'asfalto umido. Bisognava bucare la densità del suo corpo per penetrare là dentro, oltre le mura, nello spazio protetto del centro, dove un dedalo di divieti di transito e di sosta scoraggiava gli intrusi, e dove regnava un diffuso, militaresco senso di ordine, l'illusione della cittadina ideale.


*    si snodava: si allungava come un serpente
*    circonvallazione: strada che gira intorno a una città
*    ininterrotto: senza interruzione, continuo
*    asfalto: il materiale che copre la superficie di una strada 


Pur essendo un intruso, conoscevo Treviso e riuscii ad attraversare l'anello di traffico e parcheggiare in sosta vietata a pochi metri dal ristorante: nemmeno nella cittadina ideale, tutto sommato, i vigili urbani sarebbero usciti con la pioggia. Arrivai al ristorante con un quarto d'ora di anticipo e aspettai al bancone del bar con un aperitivo. Lei arrivò puntuale, alle otto. Svizzera. Non fu difficile riconoscerla. Appena la vidi superare la porta di vetro mi sembrò quasi di ritrovare una persona già nota. Vestiva un enorme cappotto militare color cachi, squadrato sulle spalle e lungo fino alle ginocchia. I capelli biondi raccolti dietro, gli occhi azzurri, grandi. Era indubbiamente bella. Mi piacque il suo modo di camminare. Mi piacque il sorriso insicuro e insieme aperto, la franchezza con cui si diresse verso di me: - Sei tu Carlo?


*    sosta: parcheggio
*    color cachi: dal persiano khak che significa polvere, colore usato nelle divise  dei militari


- Sono io. Si, credo proprio di si, - dissi.

Un giovane cameriere col pizzo e le basette a punta ci fece accomodare in una saletta in fondo. Il tavolo era di legno massiccio, con vecchie sedie impagliate e una tovaglia di lino color panna ricamata a mano, in linea con lo stile da osteria storica del locale. In compenso, il pavimento era fatto di lastroni di vetro e là sotto, silenziosa, incantata e quasi fiabesca, scorreva l'acqua di un ramo del Sile. La saletta era tutta per noi. Una bolla di intimità ci avvolse da subito e sembrò annullare ogni imbarazzo. Fingendo di studiare il menu, ci lanciammo occhiate a vicenda fino a quando i nostri sguardi si incontrarono. - Non avevo mai partecipato a un appuntamento al buio, - disse lei.


*    pizzo: barba che copre solo il mento
*    basette a punta: striscia di capelli che arriva alla barva
*    ricamata: decorazione fatta con ago e filo
*    Sile: fiume che attraversa Treviso
*    bolla: sfera vuota, bolla di sapone 


- Neppure io, - risposi, e scoppiammo a ridere.

Quella sera parlammo a lungo nella piccola sala, le nostre voci scorrevano basse e fluide. Isabel iniziò proponendo un patto: le sarebbe piaciuto godersi la cena in completa rilassatezza, senza inseguire grandi aspettative che avrebbero solo inceppato il dialogo. - Magari non ci rivedremo più, - disse sorridendo. La luce tenue dell'ambiente rendeva i suoi occhi di un blu insondabile e riposante. - Magari ci rivedremo ancora, chi lo sa ? Lasciamo fare al destino e godiamoci questa bella cena, che dici ?


*    tenue: debole, bassa

lunedì 20 gennaio 2014

Carlo Mazzacurati, Sei Venezia




In memoria di Carlo Mazzacurati 

Sei Venezia
Un anno a Venezia e in laguna. Da un autunno nebbioso ad un'estate, quella dell'anno scorso, particolarmente luminosa.
Assieme a Giovanni, Roberta, Ernesto, Carlo, Ramiro e Massimo, sei persone che vivono qui. Sono stato con loro e loro si sono raccontati. Ogni luogo della terra ha una sua unicità, quello di Venezia io l'ho cercato attraverso questi sei esseri umani.
Sullo sfondo scorre l'anno, a ciascuno di loro una stagione, un clima. Si sono susseguiti giorni di sole a giorni di pioggia, il freddo di gennaio a l'afa di luglio, sere limpide ad altre caliginose.
Le ambientazioni sono stati i luoghi in cui queste persone vivono o lavorano e gli spazi di terra e di acqua che attraversano: Mestre, l'hotel Danieli, S.Alvise, Murano, un bar vicino a S.Marco e Sacca Fisola.

Da dove nasce Sei Venezia?
E' così: mio padre Giovanni, mio nonno Carlo e perfino mio bisnonno, sono tutti ingegneri che hanno lavorato in Laguna. Solo io ho preso una strada diversa, bisona ancora capire se ho fatto bene o no... Comunque quando mi è stato proposto di fare un documentario su Venezia ci ho pensato parecchio: è sempre faticoso fare i conti con i propri padri. Eppure, anche di fronte all'imbarazzo che avevo, la spinta infantile di entrare in una specie di paese dei balocchi ha prevalso. Così ho detto sì a una proposta aperta, senza sapere bene cosa avrei fatto.

Perchè Venezia e l'acqua la riportano così prepotentemente all'infanzia?
Le prime suggestioni mi arrivano da un'età molto piccola, le sensazioni degli odori, l'idea che il suono della parola Venezia evocava in me. Mio nonno lavorava da qualche parte in laguna, c'è perfino un canale navigabile che si chiama Carlino in suo onore. Era uno sportivo, ne '29/30 aveva giocato professionista nella Fiorentina, in A: era rimasto vedovo presto, mia nonna era morta a 44 anni in un incidente stradale e lui era molto legato al suo lavoro, tanto che tornava in laguna anche la domenica per pescare e cacciare, e siccome io ero il più grande dei suoi nipoti venivo mandato ad accompagnarlo. Sono sicuro che il fatto di aver girato un po' di film dalle parti del Delta nasca da tutte quelle domeniche passate lì ad aspettarlo, a vedere il vuoto, a camminare: c'è qualcosa di affettivo, di familiare, per me, legato alla laguna e all'acqua. Mi ricordo che mio nonno aveva delle conchiglie Shell, delle capesante. Me le aveva regalate e mi aveva detto che le aveva prese a Venezia.

Io ero bambino e mi ero fatto l'idea che quello fosse un luogo dove c'erano oggetti preziosi. Era talmente presente in me questa convinzione, che mi ricordo di essere stato colpito una olta in una vecchia miniera abbandonata nelle Dolomiti, ritrovando un segno del Leone:avevo capito che c'era un tessuto connettivo di storia che preesisteva ala mia presenza sula terra, che questa città era stata capitale di un mondo con regole molto strutturate. E' un luogo che per sua natura no si modifica. Padova, per dire, era piena di canali. Alla fine degli anni '50 li hanno tolti abbattendo interi quartieri. A Venezia invece, è come tornare a un tempo stabile. Passato e presente stanno insieme in un tempo sospeso, dove recuperi una tua dimensione, è rassicurante.

afa: caldo umido
caliginose: nebbiose
balocchi: giocattoli
suggestioni: impressioni, ricorsi, immagini
evocava: ricordava
Fiorentina: squadra di calcio
Delta: foce del fiume Po', sulla riva dell'Adriatico