giovedì 13 gennaio 2011

Italo Calvino, Le città invisibili


Zenobia



Ora dirò della città di Zenobia che ha questo di mirabile: benchè posta su terreno asciutto essa sorge su altissime palafitte, e le case sono di bambù e di zinco, con molti ballatoi e balconi, poste a diversa altezza, su trampoli che si scavalcano l'un l'altro, collegate da scale a pioli e marciapiedi pensili, sormontate da belvederi coperti da tettoie a cono, barili di serbatoi d'acqua, girandole marcavento, e ne sporgono carrucole, lenze e gru. Quale bisogno o comandamento o desiderio abbia spinto i fondatori di Zenobia a dare questa forma alla loro città, non si ricorda, e perciò non si può dire se esso sia stato soddisfatto dalla città quale noi oggi la vediamo, cresciuta forse per sovrapposizioni successive dal primo e ormai indecifrabile disegno. Ma quel che è certo è che chi abita a Zenobia e gli si chiede di descrivere come lui vedrebbe la vita felice, è sempre una città come Zenobia che egli immagina, con le sue palafitte e le sue scale sospese, una Zenobia forse tutta diversa, sventolante di stendardi e di nastri, ma ricavata sempre combinando elementi di quel primo modello. Detto questo, è inutile stabilire se Zenobia sia da classificare tra le città felici o tra quelle infelici. Non e in queste due specie che ha senso dividere la città, ma in altre due: quelle che continuano attraverso gli anni e le mutazioni a dare la loro forma ai desideri e quelle in cui i desideri o riescono a cancellare la città o ne sono cancellati.



Mirabile : che è degno di essere ammirato, straordinario
Palafitta : un insieme di pali di legno conficcati nel terreno, specialmente nelle zone paludose usata come fondazione
Ballatoio : balcone che gira intorno ad un edificio esternamente o internamente
Pensile : che è sollevato da terra tramite sostegni vari
Barile : piccola botte in legno
Carrucola : macchina semplice per sollevare pesi
Lenza : filo sottile e trasparente usato per la pesca
Indecifrabile : che non si riesce a capire
Stendardo : insegna simile ad una bandiera
Mutazioni : cambiamenti

Mario Rigoni Stern


Primavera
Nei primi giorni di febbraio nella mia terra, da bambini, si camminava sparsi per i pascoli, suonando le campane delle vacche - perché noi suonavamo quelle - e cantando una vecchia canzone che diceva: “Svegliati! Svegliati! È marzo. La neve va via e fa crescere l’erba”.
Ricordo che noi bambini, più avanti nella stagione, andavamo a prendere le vacche in campagna e le portavamo in montagna. Ma quando passavamo per la strada con le campane in quei giorni di febbraio, le vacche si mettevano a urlare perché credevano che fosse arrivato il momento dell’alpeggio, e invece la neve non era ancora andata via, e uscivano appena appena i primi germogli.
Ecco, queste sono sensazioni che ancora si possono provare, anche vicino alle città, spostandosi dove iniziano i boschi. Se alla fine di febbraio andate a vedere i colori lungo le strade che accarezzano i boschi sentirete gli odori della primavera – perché la primavera ha anche odore – e ve ne innamorerete!
Ogni volta che arriva la primavera io “sento” la terra e m’innamoro. È bellissimo: è la terra che si risveglia, che fa crescere i fiori e se ne sente l’odore e vi giuro che ogni volta mi viene voglia di raccontarlo. L’aria cambia e cambia anche il movimento da dove viene l’aria: è sempre un rinascere.

Anche in questa stagione, però, non posso dimenticare gli anni della guerra. In particolare tra il 1941 e il 1942, quando, arrivata la primavera, si doveva ricostruire tutto. Era il periodo che incominciava a sgelare e c’erano ancora delle macchine seppellite nella neve e nel ghiaccio con le cornacchie che mangiavano i cadaveri… erano l’inverno del 1941 e la primavera del 1942, ma quei mesi li ricordo come fosse oggi… si vedeva il disgelo di un inverno freddissimo, quando in montagna il termometro era sceso a -30°. Fu l’inverno più freddo registrato nella storia dell’umanità, un inverno che non ha avuto pietà, un freddo così forte che ha congelato i carri armati.
Dovevamo "fare la contumacia": la primavera ci chiamava e così abbiamo “bigiato” – come dicono oggi i ragazzi che vanno a scuola – abbiamo bigiato anche con il comandante, siamo usciti in campagna e siamo andati da un contadino che ci ha offerto polenta, coniglio e un bicchiere di vino e lì, finalmente, abbiamo trovato la primavera.

sparsi: disuniti, in disordine
alpeggio: prati in montagna per il pascolo delle mucche
germogli: pianticella che si è appna sviluppata dal seme
sgelare: quando il ghiaccio comincia a sciogliersi
cornacchie: uccelli neri simili
biagiare: non andare a scuola (senza dirlo ai genitori)