Da Barcola all’Ausonia, in costume da bagno
Ora è venuto il momento di mettersi il costume, Barcola ci aspetta. Il 6 e il 36 viaggiano con buona frequenza e vi faranno risparmiare il calvario della ricerca parcheggio –a meno che non siate mattinieri, particolarmente mattinieri, nel qual caso farete ancora in tempo a trovare un buco lungo gli oleandri che costeggiano la spiaggia. Be’, spiaggia, diciamo passeggiata, visto che quello di Trieste è un mare di scoglio e al posto dell’arenile c’è una striscia di cemento lunga tre chilometri e larga non più di una decina di metri, dove la gente prende il sole stesa sui lettini portati da casa o passeggia proprio come se si trattasse di una battigia. L’accesso al mare è consentito da scalette di metallo poste a un centinaio di metri l’una dall’altra, ma in molti preferiscono scendere sulla fila di scogli che sta appena più sotto la piattaforma di cemento e tuffarsi direttamente da lì. La siepe di oleandri è stata piantata qualche anno fa a mo’ di separè, dopo che si erano verificati numerosi tamponamenti la cui unica causa era la distrazione. I bagnanti – e le bagnanti - si godono la loro tintarella a un passo dalla strada, e questa è forse la prima caratteristica che salta agli occhi di chi viene da fuori: un ampio marciapiede in pavé usato come solarium. L’impressione è molto meno sgradevole di come possa sembrare a raccontarla. Ci sono dei chioschi bar, le docce, i wc, le fontanelle, e l’acqua è così limpida chen saresti disposto a stendere l’asciugamano sul tetto della macchina pur di poterti fare un bagno.
Ma Barcola non è solo una meta estiva. Adesso noi la passeremo in rassegna pezzo a pezzo, però dovete tenere presente che i triestini vanno al mare tutto l’anno. Ci vanno a fare merenda, a leggere un libro sugli scogli, a fare due chiacchiere con gli amici. Ci vanno per lasciarsi, per mettersi insieme. Ci vanno imbacuccati, con la sciarpa tirata su fino agli occhi, a guardare come diventano nere le onde d’inverno. Ci vanno a portare il cane, a pescare, a correre, a pattinare. Ci vanno ai primi tepori di marzo, cercando qualche riparo sotto vento per scoprirsi subito, per togliersi almeno la maglietta e rimboccarsi i jeans in cerca del battesimo del sole. Ci vanno agli ultimi tepori di ottobre, nelle ore più calde, a immagazzinare come pannelli scorte di energia solare in vista dei lunghi mesi freddi. Ci vanno anche senza andarci, perché il mare a Trieste è un lato della stanza, ti alzi al mattino e sai dov’è, dove stai e sai che c’è. Questo solo per dire che qui il mare viene percepito diversamente che da una normale stazione balneare, e aggiungerei anche diversamente dalle altre grandi città costiere. Napoli, Palermo, Genova, hanno un mare meno prossimo, meno accessibile: appena fuori si incontrano splendide località litoranee, ma c’è meno confidenza tra la vita quotidiana della gente e tra la vita quotidiana del mare. A Trieste invece si fa il bagno in centro città (vedremo poi gli stabilimenti Lanterna e Ausonia) e, comunque, in qualsiasi punto del lungomare ti trovi, ti puoi accostare, scendere, spogliarti in strada – i Topolini, vedremo, sono l’unica struttura dotata di spogliatoi –, fare dieci passi e toccare l’acqua. Questa frequentazione familiare e più che assidua spiega l’uso dell’espressione triestina “andar al bagno” per intendere “andare al mare” (e non “andare alla toilette”), come se Barcola fosse la vasca di casa, quella che si raggiunge scalzi o tutt’al più in ciabatte.
Percorrendo il lungomare di Barcola dalla periferia verso il centro. Cominceremo dal Bivio di Miramare. Prima del Bivio, vedendo dall’autostrada e uscendo a Sistiana, si affrontano i dieci chilometri della strada costiera, una specie di cengia naturale che corre a precipizio sul golfo. Lì sotto, spesso indicati con insegne quasi invisibili, ci sono diversi bagni, alcuni a pagamento come le Ginestre o Riviera, altri di libero accesso come i Filtri, Canovella, Tenda Rossa, Costa dei Barbari. Sono tutti splendidi, immersi nel verde, con piccole spiagge di sassolini schiacciate contro la parete di roccia, ma comportano inevitabilmente un’altra idea, meno facile del bagno: sono più lontani dalla città, di solito, ci si va più attrezzati (materassino, ombrellone, eccetera), l’uscita assomiglia di più alla classica gita al mare. Per questo la nostra rassegna salterà le pur belle strutture della Costiera. Perché, quanto all’ “andar al bagno”, Barcola corrisponde meglio alla concezione disinvolta – easy-going – dei triestini. Ci arrivi in ciabatte, ti spogli dove capita e ti butti in acqua.
il 6 e il 36: numeri di autobus di linea
calvario: sofferenza intensa e prolungata
arenile: spiaggia sabbiosa
battigia: (bagnasciuga) linea di una spiaggia su cui si frangono/arrivano le onde
oleandro: tipo di pianta con i fiori colorati e tossici
tamponamento: incidente automobilistico in cui un’auto urta il veicolo di fronte
pavé: pavimentazione stradale fatta di cubetti di porfido e pietra
imbacuccato: coperto interamente di vestiti a mo’ di protezione contro il freddo e il vento
immagazzinare: raccogliere, accumulare
stazione balneare: stabilimento attrezzato sulla spiaggia
lungomare: strada che costeggia la riva del mare
scalzo: senza scarpe
ciabatte: pantofole estive
cengia: breve piano orizzontale che sporge in una parete rocciosa
correre a precipizio: (in questo caso) seguire una linea a strapiombo lungo la parete rocciosa; correre molto velocemente
vasca: vasca da bagno
libero accesso: passaggio/entrata liberi, gratis
dove capita: dove vuoi tu, senza regole
Nessun commento:
Posta un commento