mercoledì 8 giugno 2011

Intervista a Veit Heinichen



SUGGESTIONI DI UN LONTANO IMPERO, IN PIAZZA UNITÀ, A TRIESTE, DOVE INCONTRO LO scrittore tedesco Veit Heinichen, che ha scelto di abitare a Trieste e vi ha ambientato “I morti del Carso”, il primo pubblicato in italiano di tre romanzi che hanno per protagonista l’ispettore Proteo Laurenti. Mare azzurro davanti, folate di vento che alleviano il caldo, è naturale incominciare a parlare della bora che dà un’atmosfera tutta particolare al romanzo.

“I morti del Carso” inizia in una giornata di bora nera. Che cosa è la bora nera?
   La bora è un vento che viene dalla Pannonia e può raggiungere la velocità di 170 km. all’ora. Può essere così forte da rovesciare delle carrozze dei treni sui binari. Io adoro le forze della natura e la bora mi piace moltissimo. La bora nera o scura, con nevicate e ghiaccio è quella che sbatte il mare con violenza contro i moli. La gente cambia con la bora, diventa nervosa, bestemmia.
   Tutti si ricordano le annate speciali della bora. Quando c’è la bora nera l’intera città cambia, il traffico è paralizzato. E’ come se ci fosse un piumino sopra la città, cambiano anche i rumori. All’inizio può sembrare anche una festa, non si può andare a lavorare e la gente si ritrova nei bar, c’è allegria per questa vacanza non prevista.

Perché ha scelto di vivere a Trieste?
   Sono venuto per la prima volta a Trieste nel 1980, perché mi incuriosiva questa città. Mi domandavo che cosa si nascondesse dietro questa città che è un mito, la città degli scrittori. Sono ritornato un paio di anni dopo, e, come succede, conosci delle persone e torni sempre più spesso.
   Nel ’97 ho comperato una casa e nel ’99 mi sono trasferito a vivere qui: è come se nella mia vita ci fosse stato un cartello segnaletico che puntava verso Trieste. Quando ho iniziato a scrivere non potevo non scrivere di Trieste. Il mio legame con la città è fortissimo, forse perché sono nato in una città vicino al confine con Francia e Svizzera, sono un figlio di confine e Trieste è la città dei confini, dei contrasti, dei ponti tra il mondo Mediterraneo e il mondo del Nord, tra i Balcani e l’Occidente, tra il mare e la montagna, fondata sulla presenza di 90 etnie diverse.
   Se è vero che ogni luogo ha la sua nevrosi, mi pare ci sia un’alta compatibilità tra la mia nevrosi personale e quella di Trieste: io mi sento a casa qui e non sono neppure visto più come uno straniero.

“I morti del Carso” è il suo primo libro tradotto in italiano, quali altri romanzi ha scritto?
   Ho scritto a quattro mani 5 romanzi con protagonista un detective donna. E poi c’è un romanzo precedente con protagonista Proteo Laurenti, “Dà ad ognuno la sua morte”, che è in corso di traduzione in italiano, e un altro, sempre con Proteo, che uscirà a luglio in Germania.

Perché ha scelto il noir?
   Penso che il noir sia il mezzo più adatto per descrivere la società moderna. Basta sfogliare un giornale per vedere che tipo di notizie riporta, fondi neri in politica, falso in bilancio nell’economia, evasione fiscale, plagio nella cultura, doping nello sport. Il contesto sociale è cambiato negli ultimi decenni, ci sono nuovi delitti, immigrazione di clandestini, il fatturato del traffico mondiale di uomini ha superato quello della droga, e poi c’è il traffico d’organi che è un fenomeno provocato dall’avanzamento della tecnologia. Il delitto accompagna il progresso sociale e viceversa. E il giallo è il mezzo di trasporto ideale per raccontare tutti questi punti che bruciano.

Ci può dire qualcosa su Proteo Laurenti, questo personaggio così simpatico che è, come Lei, uno “straniero” a Trieste?
   Proteo è nato a Salerno, in una famiglia che non sapeva neppure dove fosse Trieste, una famiglia piccolo borghese. Avevano scelto per lui un nome della mitologia greca e non sapevano che sarebbe finito a vivere a Trieste dove, nei sotterranei del Carso, da cento milioni di anni vive un animaletto bianco lungo 30 cm., come una grossa lucertola bianca senza occhi, con dei piedini inutili, il cui nome scientifico è Proteus anguinus laurentii. Ho rubato il nome da lì e qui si ride quando si sente questo nome che è anche una metafora: il lavoro di Proteo è scavare sotto la superficie per trovare la verità.
   Proteo ha scelto la carriera del poliziotto e arriva a Trieste a 23 anni (ne “I morti del Carso” ne ha 47), corteggia la moglie, che è di qui, per due anni prima di sposarla. Ormai è diventato triestino, anche se vede le cose dall’esterno. Proteo è come me, viene da fuori, può fare domande che quelli del posto non possono fare perché accettano quelli che sono i tabù della città.

Trieste viene fuori dal suo libro come una città tormentata, piena di fantasmi del passato, di problemi etnici e politici.
   Trieste è una città complessa, piena di problemi, anche se ci si limita solo alla storia più recente. Sono successe tante cose con il fascismo, mai completamente elaborate. Siamo in una città di frontiera vicino all’ex-cortina di ferro, anticomunista senza essere fascista. Come dice lo psicanalista svizzero Paul Parin, “Trieste è una città italiana su territorio sloveno con storia austriaca, ma la sua cultura non è né slovena né austriaca né italiana ma è una cultura provinciale e nello stesso tempo internazionale.” I fascisti avevano l’obiettivo di distruggere tutto quello che non era italiano.
   La popolazione più forte era quella slovena, prima della prima guerra mondiale vivevano più sloveni a Trieste che a Lubiana. I fascisti hanno dato fuoco a tutte le istituzioni slovene e croate, hanno vietato di parlare in quelle lingue, hanno vietato le Messe in sloveno, i vescovi sloveni sono stati sostituiti con vescovi italiani, le scuole slovene sono state chiuse. I fascisti hanno provocato una violenza fortissima in questa città dove, prima, la convivenza era normale.
   A Trieste si festeggiano tre liberazioni: nel maggio 1945 dai tedeschi, nel giugno 1945 dai titini e nel 1954 per i fascisti c’è stata la terza liberazione, quando la città è tornata italiana dopo essere stato Territorio Libero di Trieste. Qui lo sloveno triestino parla malissimo dell’Italia e parla malissimo della Slovenia e il triestino italiano parla malissimo della Slovenia ma anche dell’Italia, e però sono tutti triestini. Per il 98% della popolazione non ha importanza se uno è sloveno o italiano. Comunque penso che quello che importa è rendersi conto di quanto è successo, abbiamo la responsabilità di imparare queste cose e far in modo che non si ripetano più. Sono anche convinto che non si debba elaborare sempre tutto, guarisce anche quello che si dimentica.

E poi c’è il problema del contrabbando, come in tutte le zone di frontiera.
   Trieste è una città portuale con tanti confini: è il prototipo del contrabbando. Si contrabbanda di tutto, adesso si parla tanto dei clandestini, ma è sbagliato dire che non ci fosse traffico di uomini anche prima del 1989. Conosco gente sul Carso che dice: “siamo sempre stati passeur”. Durante la guerra fredda quelli che sfuggivano al comunismo erano i benvenuti. Una volta armi e sigarette arrivavano dal mare, adesso arrivano anche capesante, datteri e mitili. Due anni fa hanno preso un camion con bare economiche provenienti dall’Ucraina e destinate al mercato tedesco. Il nuovo fattore è l’importo dei bambini: i più piccoli per l’adozione, quelli più grandi vengono costretti ad elemosinare, o a lavorare in campagna o nelle fabbriche, oppure sono destinati alla prostituzione. Un’altra parte sparisce nella speculazione per il traffico d’organi.

Ho l’impressione che a Trieste si parli delle foibe e meno della risiera di San Sabba.
   E’ perché chi parla delle foibe urla. I politici di estrema destra sono dei falsificatori della storia, ma se qualcuno grida, non significa che sia la maggioranza. A Trieste il problema è che non puoi parlare della risiera senza parlare delle foibe, come se ci fosse un atteggiamento del tipo, “i nostri morti sono più preziosi dei vostri”. I revisionisti cercano di scusare i delitti fascisti con quello che è successo con i titini nelle foibe. E’ fondamentale parlare delle foibe, anche la sinistra europea è responsabile di atti di ferocia, ma dobbiamo ricordare sia quanto è avvenuto lì sia quanto è avvenuto nella risiera. Le foibe non riguardano solo gli italiani, si è trattato di una decisione fra due gruppi politici e non di epurazione etnica. Noi avremo un futuro solo se siamo in grado di differenziare e di non generalizzare.

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